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| ph_Luca Del Pia |
MONICA NOTARNICOLA - “Lo spettacolo non è un true crime, ma, al contrario, ne rappresenta l’antitesi”- precisa la
talentuosa regista Ivonne Capece de La città dei vivi, rappresentazione teatrale liberamente
ispirata al romanzo best seller di Nicola Lagioia, che ha debuttato il 13 aprile scorso al Teatro
Fontana di Milano. Prodotto da Elsinor – Centro di Produzione Teatrale con TPE – Teatro
Piemonte Europa, Teatri di Bari, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e Teatro
di Sardegna, “La città dei vivi” gioca sull’alternanza tra presenza e assenza: gli attori in carne
e ossa (Sergio Leone, Daniele Di Pietro, Pietro De Tommasi, Cristian Zandonella) si
confrontano con presenze virtuali, proiezioni e ologrammi che ampliano lo spazio scenico in
una dimensione sospesa tra teatro e video arte. La performance si dipana attraverso la
matassa dell'horror che si è consumato all'interno delle mura domestiche di un appartamento
romano: un ragazzo è stato ucciso in modo efferato da altri due giovani in preda all'alcol e alla
droga. Lo spettacolo, non sempre di facile interpretazione, è proprio in questa sua complessità
di stimoli, visivi, sonori e riflessioni che dà la possibilità allo spettatore di scuotere l’anima e di
risvegliarla, indagandosi sul perché la violenza esista e di come sia antica quanto l'uomo e su
quanto proprio quella civiltà segnata dall'antico splendore di Roma alla fine non sia altro che
decadenza morale e crisi di valori. Messalina e i vari imperatori romani si erano macchiati di
crimini. È cambiato qualcosa? No. Il progresso, di cui simbolo iconico e statuario in scena sono
gli elettrodomestici come un frigo e una lavatrice decontestualizzati, spettri di altro, non è
simbolo di evoluzione. Interessante è la possibilità di poter osservare attraverso la lente
scenica, le dinamiche genitoriali che si consumano, in primis del padre-figlio. Gli errori dei
genitori dunque, si riversano sui figli? E all’interno di questo contesto, diventa soprattutto
centrale, in una società accentuatamente maschilista dove vige un sistema ancora fortemente
patriarcale, in cui la brutalità si tramanda di padre in figlio, l’assenza del femminile, tema già
presente nel romanzo e ulteriormente amplificato dalla regia: una mancanza che diventa eco
silenziosa, ferita e mancanza, dentro un mondo dominato dal potere, dalla prevaricazione e
dalla violenza.
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| ph_Luca Del Pia |
Notevole sia la recitazione che la voce cantata di Pietro De Tommasi; viva e intensa,
l’interpretazione di Sergio Leone dei tre padri: quello della vittima e quello dei due assassini. Il
suo è inoltre, un personaggio chiave perché incarna la figura dell'intellettuale
(scrittore/narratore/artista, alter ego di Lagioia) che si trova di fronte alla
responsabilità/compito di raccontare la brutalità umana tra la necessità di indagarla e quella di
descriverla e denunciarla, dandone forma e struttura, attraverso la cultura.
Apprezzatissima è risultata la capacità di Capece di saperne definire l’effetto spiccatamente
drammatico ed emotivo, attraverso l’uso delle video installazioni e dei suoni che riproducono il
pubblico giudicante: la multimedialità è il mondo esterno, del sensazionalismo, dei social, dei
giornali, degli amici e dei conoscenti; serve a esprimere il gioco del dentro e del fuori, tra
l’interiorità rotta della coscienza e l’esterno spregiudicato dell’apparenza e della violenza
collettiva della società che irrompe nel privato doloroso dei protagonisti, rendendolo
inevitabilmente pubblico.